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il fenomeno delle grandi dimissioni

Il fenomeno delle grandi dimissioni, un problema per le aziende

Sembrava fosse un’ondata temporanea presente solo negli Stati Uniti, ma è arrivata anche in Italia: il fenomeno delle grandi dimissioni ha coinvolto anche il nostro paese e le aziende e le attività commerciali, di città o delle località turistiche, stanno vivendo un momento di difficoltà al quale non riescono dare una spiegazione.

Una volta il posto fisso e il contratto a tempo indeterminato erano un miraggio per molti, un traguardo ambito a cui non si sarebbe rinunciato per nulla al mondo. In effetti il posto fisso era sinonimo di tante cose positive: sicurezza economica, la possibilità di fare esperienza, costruirsi una carriera.

Dare le dimissioni, un trampolino di lancio verso una nuova carriera

Qualche anno fa i motivi che portavano un lavoratore a dare le dimissioni erano sostanzialmente di due tipi: la ricerca di un ambiente più stimolante e, in alcuni casi, più positivo e sano in termini di relazioni umane tra colleghi e capi, oppure l’offerta di lavoro da parte di un’azienda concorrente pronta a mettere sul piatto una proposta economica più vantaggiosa dell’attuale pur di avere il lavoratore e il suo know how nella propria squadra.

C’è un dettaglio però nel fenomeno delle grandi dimissioni che sta lasciando tutti a bocca aperta: i lavoratori si licenziano senza avere di fatto nessun piano B pronto, cioè nessun nuovo posto di lavoro concordato. Pur di abbandonare l’attuale impiego le persone corrono il rischio di rimanere senza stipendio per un periodo di tempo non definito, in attesa di trovare una soluzione alternativa.

Cosa sta succedendo? Da dove ha origine il fenomeno delle grandi dimissioni e perché sta accadendo?

Fenomeno delle grandi dimissioni o great resignation: le origini

Il fenomeno delle grandi dimissioni è molto recente: compare con prepotenza nel 2021 negli Stati Uniti ed è noto con il nome di “Big quit” o “Great resignation”. Milioni di lavoratori hanno iniziato a licenziarsi senza un valido motivo oggettivo, ma soprattutto spesso senza avere un nuovo posto di lavoro concordato.

Secondo la società di analisi e consulenza McKinsey, tra aprile e settembre 2021, 19 milioni di americani si sono dimessi, per un totale di 25 milioni negli ultimi 6 mesi del 2021, di cui 4,5 milioni solo nel mese di novembre. Un record storico.

Accanto al fenomeno delle grandi dimissioni si affianca un dinamicità del mercato del lavoro a cui non si assisteva da anni. A novembre 2021 le posizioni aperte negli Stati Uniti erano 10,6 milioni, +50% su gennaio 2020 con una crescita sostenuta dei salari (+4,7% a dicembre sull’anno prima). Eppure tutto ciò non è stato abbastanza: a fine 2021, ogni dieci posizioni aperte c’erano solo sette lavoratori disponibili.

Cosa sta succedendo? Le ipotesi sulla bilancia sono molte e tutte hanno purtroppo un punto di origine univoco: l’inizio della pandemia.

Il fenomeno delle grandi dimissioni arriva anche in Italia

Sebbene sembrasse che questa ondata anomala di licenziamenti fosse limitata solamente al Nord America in realtà anche l’Italia ne è rimasta coinvolta al 100%, con un’impennata nel 2022.

Andiamo con ordine.

L’INPS ha veicolato i dati dell’occupazione del primo trimestre 2022 da cui si evince che sono state 306.710 mila le persone che in Italia hanno rassegnato le dimissioni dal lavoro, anche se provviste di un contratto a tempo indeterminato. Il dato non è mai stato così alto negli ultimi 8 anni e si registra un aumento 35% rispetto al 2021.

Inoltre dall’inizio della pandemia il numero degli under 40 che ha deciso di licenziarsi è aumentato del 26%. Ma è ormai consolidato che il fenomeno delle “great resignation” nonché delle grandi dimissioni riguarda tutte le fasce d’età ed è lo specchio di un paese alla ricerca di un maggior equilibrio tra vita privata e lavoro.

Perché le persone si licenziano?

Ciò che è davvero interessante del fenomeno delle grandi dimissioni sono le cause. Cosa spinge le persone ad abbandonare il posto fisso senza nuove prospettive oppure per un nuovo impiego retribuito meno del precedente?

La risposta è tanto facile quanto poco scontata, ed è il work life balance, ossia la sostenibilità del lavoro e della vita privata. Come due piatti della bilancia, lavoro e vita privata oggi cercano un equilibrio che fino a pochi anni fa era sbilanciato verso per il primo dei due.

Secondo quanto emerso dalla ricerca Employer brand research dell’agenzia internazionale per il lavoro Randstad, a guidare le scelte dei lavoratori non sono più carriera e retribuzione (che ancora hanno un ruolo centrale), ma appunto il sacro equilibrio tra lavoro e vita personale . Molti manager ma anche giovani in carriera malati di lavoro, i cosiddetti workaholics, oggi decidono di mollare tutto dall’oggi al domani, alla ricerca di nuove strade che garantiscano serenità e felicità.

Il sistema di valori che ha guidato le scelte lavorative di baby boomers e generazione X è entrato in crisi a causa di questo nuovo paradigma che mette al primo posto la salvaguardia della qualità della vita dove l’aspetto economico, sebbene ancora centrale, è subordinato alla salute psico-fisica e che, concretamente, si traduce in un altro termine inglese: you live only once, cioè si vive una volta sola. O meglio detto: ogni lasciata è persa.

Ma si vive per lavorare o si lavora per vivere? Questo è il cuore della questione.

Covid, lockdown e smartworking e il fenomeno delle grandi dimissioni

Non è una moda quello del fenomeno delle grandi dimissioni. Se pensiamo che sia solo una corrente passeggera stiamo sbagliando grosso. Perché l’origine di questa svolta esistenziale dei lavoratori ha radici molto profonde, legate ad un evento che ci ha cambiati in maniera irreversibile, creando una sorta di effetto da “evento post traumatico”. Sì, anche in questo caso il lockdown e il Covid hanno la loro responsabilità.

I lavoratori sono stati privati per mesi privati della loro socialità lavorativa e lo smartworking ha imposto un nuovo modello di lavoro che li ha portati a riflettere a lungo e mettere a fuoco i limiti della propria condizione occupazionale.

Oggi i dipendenti di un’azienda, impiegati, operai, primi livelli e manager, chiedono maggiore vicinanza alle loro esigenze: ecco quindi che le risorse umane e i vertici aziendali si ritrovano a dover ripensare i modelli di leadership e welfare, che non si traducono necessariamente in maggiori benefits e aumenti di stipendio. Significa permettere alle persone di poter vivere la loro vita, di non cadere in burn out lavorativo, di avere tempo per la propria famiglia e poter coltivare le proprie passioni.

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