Parità di genere: cos’è e perché se ne parla
Temi come la parità di genere sul posto di lavoro, la solidarietà e l’empowerment femminile sono all’ordine del giorno. Sostenuti, approfonditi e promossi dalle principali testate giornalistiche, sui social media e nei talk show, questi argomenti sono oggetto di continuo confronto.
È innegabile come il concetto di parità di genere oggi debba essere al primo posto dell’agenda di qualsiasi azienda e organizzazione governativa.
È appurato infatti come purtroppo il ruolo delle donne in azienda sia ancora troppo sottovalutato e questo trova conferma non solo nella loro minor presenza ai vertici aziendali, ricoperti ancora per la maggior parte da uomini, ma anche nella disparità di stipendio percepito: il 20% in meno rispetto agli uomini.
Cos’è la parità di genere
La parità di genere indica l’uguaglianza nei diritti e nei doveri tra uomo e donna. Questo concetto è tutelato e sancito dalla nostra Costituzione oltre che da numerose leggi, ma è sotto gli occhi di tutti che la strada per raggiungerla sia ancora molto lunga.
È l’art. 3 della Costituzione che pone le basi per la parità di genere, definendo uomini e donne uguali davanti alla legge.
La parità di genere è anche parte dell’Agenda ONU 2030, in particolare il programma ha fissato 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030, e il quinto è arrivare alla parità di genere e all’autodeterminazione delle donne e delle ragazze.
Parità di genere e rendimento scolastico
Secondo un articolo del Sole 24 Ore pubblicato a gennaio, firmato dal giornalista Eugenio Bruno, le donne sarebbero in netto vantaggio rispetto ai colleghi maschi per performance scolastiche.
Sì le donne sono più diligenti, studiose, performanti e svelte a concludere il ciclo di studi, ma sono anche le migliori nello sfruttare le opportunità formative a livello di tirocini, stage ed esperienze all’estero.
Vediamo qualche numero.
Nel 2020 le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia, come emerge dall’analisi del consorzio interuniversitario AlmaLaurea presieduto da Ivano Dionigi.
Parliamo di voti: per le donne il voto medio di diploma di scuola superiore è di 82,5/100, contro l’80,2/100 dei maschi. Il rapporto analizza poi la carriera all’interno degli atenei e anche qui le donne primeggiano in tutto.
Prendono parte più degli uomini alle esperienze di tirocinio curriculare (61,4% rispetto al 52,1%), di lavoro durante gli studi (66,0% rispetto al 64,0%) o di mobilità studentesca (11,6%, rispetto al 10,9% degli uomini).
I risultati universitari sono quindi di gran lunga migliori per le donne le quali concludono gli studi nel 60,2% dei casi, rispetto al 55,7% degli uomini. Il voto medio di laurea è, rispettivamente, pari a 103,9 e 102,1/110.
Gender Gap, cosa succede nel mondo del lavoro?
Purtroppo lo scenario cambia completamente nel momento in cui è il momento di mettere in pratica quanto appreso durante il percorso universitario. È qui che il gender gap fa sentire tutta la sua ingombrante presenza.
Guardiamo ancora ai numeri. Tra i laureati di primo livello a cinque anni dal titolo pari all’86,0% per le donne e al 92,4% per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente pari a 85,2% e 91,2%. A cinque anni dal titolo, in presenza di figli il divario di genere si amplifica ulteriormente.
La discrepanza si riflette anche nella retribuzione. A cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro.
L’analisi della professione lavorativa svolta a cinque anni dalla laurea mostra che sono soprattutto gli uomini a occupare ruoli di alto livello, ossia di tipo imprenditoriale o dirigenziale (2,2% tra le donne e 3,9% tra gli uomini) e a elevata specializzazione, cioè per i quali è richiesta almeno una laurea di secondo livello (61,7% tra le donne e 63,6% tra gli uomini).
Parità di genere, come è messa l’Italia?
Purtroppo la Pandemia ci ha messo lo zampino allungando di fatto i tempi per portare avanti il programma di riduzione della disparità di genere non solo in Italia ma nel mondo. Il Global Gender Gap report del World Economic Forum ci dà i numeri necessari per farci un’idea chiara di quanto sta accadendo.
I paesi più performanti e virtuosi sul tema sono, ça va sans dire, quelli dell’Europa del Nord, Islanda, Finlandia e Norvegia, che sono anche i paesi guidati da donne. Segue poi al Nuova Zelanda e la Svezia.
E l’Italia? Dove si colloca? Secondo la classifica stilata dal World Economic Forum emerge il balzo registrato dall’Italia, che ha guadagnato 13 posizioni salendo dal 76° al 63° posto su un panel di 156 Paesi al mondo.
Se nel contesto politico l’Italia ha fatto bene, collocandosi al 41° posto, non si può dire altrettanto circa la parità di genere in ambito economico, dove il bel paese scende al 114° posto. Eppure è sotto gli occhi di tutti come la partecipazione femminile al mondo del lavoro non è altro che una risorsa che può incrementare la crescita e lo sviluppo economico e sociale non solo italiano ma mondiale.
Quanto ci vorrà per allinearci e raggiungere la parità di genere? Per chiudere il gap saranno necessari 267,6 anni.
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